San Gennaro lucchese e Marco Visconti da Milano nel maggio 1329

San Gennaro martire napoletano e vescovo di Benevento (III-IV secolo) non si trova di frequente nei nomi di luogo di Toscana; nei pochi casi (citati dal Dizionario del Repetti) dette il titolo all’abbazia di Capolona (Arezzo), del X secolo, e al paese di San Gennaro sull’altopiano delle Pizzorne a nord est di Lucca, verso Collodi, documentato sempre nel X secolo. Il motivo di tale originale titolo non è noto, ma può dare un’indicazione generica il fatto che il santo era già universalmente conosciuto nei secoli VII-VIII e ricordato nei martirologi ed evangeliari di Germania, ovvero presso quelle popolazioni e nobiltà che promossero prima del Mille la fondazioni di abbazie e chiese in Toscana.
San Gennaro lucchese d’altronde nei secoli ‘bui’ dovette anche essere un luogo militare e di presidio del territorio, mantenendo questa sua funzione fin dopo il Mille, al tempo della guerra tra guelfi e ghibellini. Nel maggio 1329 infatti era ricordato chiaramente come “cassarum sive fortilitiam”, cassero o fortezza.
Attirò, a tale data, l’attenzione di uno dei più forti e crudeli fautori dell’imperatore Lodovico il Bavaro (e pro domo sua): Marco Visconti figlio di Matteo, il cui nome è entrato nella letteratura e nelle pièce teatrali per la romantica e tragica storia vissuta, vera o falsa che fosse, con Bice del Balzo.
Però a San Gennaro di Lucca il condottiero non si comportò in modo molto sentimentale, tutt’altro ... A leggere per prima cosa le cronache delle sue imprese più vicine alla data di cui sopra, si trova che aveva contribuito alla difesa di Milano del 1323-24 contro l'esercito guelfo pontificio e partecipato alla vittoriosa battaglia di Altopascio al fianco di Castruccio Antelminelli signore di Lucca (1325). Accordatosi poi con l’imperatore Lodovico il Bavaro (1327), dimorante a Pisa (1328-29), si era recato a Lucca con la missione di riportare all’ordine 800 mercenari tedeschi ribellatisi perché senza stipendio.
Quindi, diventato loro capitano, assieme a dei fuoriusciti e alle soldatesche della Val di Nievole, aveva agito per conto suo, saccheggiando i borghi cittadini e scontrandosi pure con la cavalleria tedesca dello stesso Bavaro. Entrato trionfante in Lucca, aveva cacciato Francesco Castracani e ne era diventato signore. Aveva quindi depredato ulteriormente il contado e a maggio incendiato Camaiore e messo a sacco Pescia. Pacatasi la guerra, a fine luglio Marco aveva contrattato con Firenze e Pisa, senza risultato, la vendita di Lucca – attuata poi dai mercenari tedeschi che l’avrebbero ceduta per 30000 fiorini a Gherardino Spinola di Genova.
Ripresa quindi la strada della Lombardia e di Milano, a settembre, nel palazzo di famiglia, fu ucciso e defenestrato da ignoti, che, è opinione generale, non furono altro che i suoi poco benevoli parenti.

Al tempo dunque in cui il Visconti si era insignorito di Lucca, nel maggio 1329, si interessò di San Gennaro delle Pizzorne e fece scrivere una pergamena divisa in più parti e rogata dal notaio Michele del fu ser Giunta di Lotterio da San Miniato.
Per prima cosa, si ricorda nella carta, come ser Guineldo da Linari, esattore maggiore del comune di Lucca, “preceptum est”, avesse ricevuto una perentoria prescrizione dal condottiero e da alcune autorità, cioè da Credoio di Simo console, Francesco di Uberto, Orso di Ventura, Minuccio di Nigoczio, Cecco di Michele, Dottoro di Ugolino, Bonaiuto di Bernardo del terzo di Petrognano di San Gennaro del contado di Lucca, e Pardo di Giunta, ser Dino di ser Lunardo e Guccio di Cece del terzo della pieve di San Gennaro.
Tale ordine prevedeva che, su mandato di Marco, si dovessero custodire e salvare “dom(um) sive cassarum sive fortilitiam que et quod dicitur Doctori del Iuncta de Luca et omnia et singula fulcimenta et armamenta, vinum et oleum et alia massaritia et bona sua et ortas in dicta domo seu fortilitia” ... (la casa, il cassero, cioè la fortezza, che si dice di Dottoro del Giunta di Lucca, e tutto e ogni singolo sostegno e armamento, vino e olio e altre masserizie e suoi beni e orti nella detta casa o fortezza).
Si ordinava perciò agli stipendiari (soldati) Berto di Lapo da Firenze, Domenico da Magliano, Niccolaio di Iacomuccio, Filippo di Bonreddito e Domenico da Genova lì presenti, il compito “in defendendo, succurrendo, fulciendo, manutenendo et custodiendo dictam fortilitiam pro Marco et comune” di Lucca. Si scrissero anche i nomi dei tetimoni all’ordine: Puccino del fu Filippuccio, “Margie de Antelminellis de Luca”, Doctoro del Giunta e il signor Barzarolo familiare di Marco.
Visconti fece poi ricopiare nella seconda parte della pergamena la sua personale lettera diretta ai comuni del terzo della pieve di Petrognano e del borgo di San Gennaro. Iniziava con il “salutem” e ripeteva i nomi dei soldati e l’ordine della custodia della fortezza di Dottoro del Giunta, “tam de die quam de nocte”; soprattutto, riguardo al vino che vi si trovava, “custodire curetis et mictere in potestatem Doctori suddetti” o di Berto e degli stipendiari.
La sua missiva – si legge ancora – fu recapitata ai consoli e ufficiali di San Gennaro agli inizi di giugno tramite Landuccio di Pagano da Lucca che per questo si recò da un notaio chiamato Nucco.
Ser Guineldo aggiunse nella terza parte della pergamena il suo “salutem vobis” per gli ufficiali di San Gennaro e l’ordine che il vino di Dottoro fosse condotto a Lucca a spese del proprietario “pro vectura sub pena nostro arbitrio auferenda”.
L’ultimo messaggio aveva il sigillo dell’esattore e fu consegnato a metà giugno da Colo di Nello da Pisa al solito Nucco per i consoli e ufficiali del comune di San Gennaro.

Paola Ircani Menichini, 30 marzo 2023.
Tutti i diritti riservati.




L'articolo
in «pdf»